La questione della tecnica: recensione di Per farla finita con il nichilismo
Autore: Stefano Vaj
da: Divenire 2, Libreria () | pdf | stampa
Guillaume Faye,
Per farla finita con il nichilismo. Heidegger e la questione della tecnica.
Società Editrice Barbarossa,
Milano 2008, pp. 91. 1
È difficile apprezzare pienamente la portata dell'opera di Martin Heidegger rispetto alla cultura contemporanea. Chi ne legge davvero i libri è pressoché invariabilmente qualcuno che di filosofia si occupa a livello professionale, o che almeno ha una preparazione e interessi precisi in questo campo. Il fatto che siano pressoché intraducibili in inglese - e non facilissimi da tradurre e capire nelle lingue neolatine - naturalmente non aiuta, e anche il vezzo di alcuni intellettuali di sinistra di citare deliberatamente autori a vario titolo considerati precursori o fiancheggiatori del nazionalsocialismo resta in fondo confinato a circoli ristretti. Infine, se la sua opera, sulla falsariga nietzschana, mira ad essere una riflessione sulla, e al di là della, metafisica occidentale ("über") - cosa tra l'altro che la rende perfettamente blasfema da un punto di vista giudeocristiano -, il suo linguaggio resta in larga parte debitore di tale tradizione, e nel suo andamento ricorsivo, etimologico, frattale non rifugge da toni oracolari ed oscuri poco consoni a coloro la cui mentalità è magari più vicina all'ansia di "pulizia logica" del Circolo di Vienna.
Tale portata resta nondimeno profonda, e con Heidegger continua inevitabilmente a confrontarsi gran parte del pensiero occidentale dei nostri giorni, così che l'influenza del filosofo tedesco continua incesssantemente ad esercitarsi ed espandersi attraverso mille rivoli e mediazioni anche dove meno uno se lo aspetterebbe. Al tempo stesso, laddove pure l'importanza della eredità che ci ha lasciato venga riconosciuta, parziali e mistificanti appaiono spesso le letture che vengono date del "segno" della sua riflessione, a partire da chi la considera riduttivamente in chiave di pura fenomenologia o meditazione esistenziale.
Heidegger merita invece di essere "svelato" per quello che è: il filosofo della modernità, in particolare il filosofo del "postumanismo" che della modernità rappresenta l'inevitabile Aufhebung, al cui centro si situa la "questione della tecnica" (Heidegger 1991-II), come ben illustra Maria Teresa Pansera in L'uomo e i sentieri della tecnica: Heidegger, Gehlen, Marcuse (1998).
D'altronde, nota senza menare tanto il can per l'aia Francesco Boco nella prefazione al saggio di Guillaume Faye che qui ci occupa e di cui lo stesso ha curato l'edizione italiana, «di Heidegger ci è stata trasmessa l'immagine di un filosofo nemico assoluto della tecnica e della tecnologia, grande amante della natura incontaminata e della Foresta Nera, l'idea di un Heidegger boscaiolo e contadino in inappellabile contrapposizione al "mondo delle macchine". La tecnica secondo il filosofo tedesco, si dice, è espressione massima del nichilismo moderno e perciò essa va condannata senza appello, rifiutata e guardata con grande sospetto da chi faccia della cerca dell'Essere il motivo del suo impegno filosofico ed esistenziale»
.
Ora, tale immagine dimostra come la semplificazione caricaturale che passa oggi per divulgazione possa portare non solo ad una falsificazione, ma ad una inversione profonda di quella che ad avviso di Faye è un'ispirazione che io stesso ho ripreso in Biopolitica. Il nuovo paradigma (Vaj 2005) in particolare attraverso la chiave della meditazione di Heidegger sull'eredità nietzschana: «La domanda è: l'uomo, in quanto uomo nella sua natura sinora, è pronto ad assumere la signoria del pianeta? Se no, cosa deve succedere all'uomo perché egli sia capace di sottomettere la terra e rivendicare così un antico legato? Non deve l'uomo, così com'è ora, essere portato oltre se stesso per adempiere a questo compito?»
(Heidegger 1991).
Questa domanda conduce già molto vicino non alla sensibilità della cosiddetta "ecologia del profondo", ma al contrario alle conclusioni propriamente transumaniste che saranno fatte proprie e declinate già a partire dalla fine degli anni settanta e via via sino ad oggi non solo da Faye stesso - vedi anche la parte in tema di Archeofuturismo, 1999, o l'appendice dello stesso autore al citato Biopolitica (Vaj 2005) ma pure da altri numerosi autori francesi come Yves Christen (cfr. Les années Faust, 1991), Charles Champetier (Avec les robots, par delà le Bien et le Mal, 2000; vedi anche il sito tuttora accessibile a http://www.lesmutants.com ) Hervé Kempf (La revolution biolithique, 1998), etc., dando luogo ad un variegato "filone europeo" della riflessione sul postumano che vedrà poi contributi originali e molto interessanti da parte di Peter Sloterdijk ("Regole per il parco umano" 2004), o di autori italiani di varia formazione ed interessi come Marchesini (Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, 2002), Pireddu (Post-umano. Relazioni tra uomo e tecnologia nella società delle reti, 2006), Schiavone (Storia e destino, 2007) Campa (Etica della scienza pura, 2007), Scianca, etc.
In questo quadro, infatti, è sempre la tecnica che nel pensiero heideggeriano finisce per coniugare il post-umanismo con il postuman-ismo, nel quadro di quella che è alla fine una riflessione antropologica fondamentale. Nota Pansera: «Heidegger... sin dall'inizio della sua riflessione, mette in luce come il Dasein, l'"essere-nel-mondo", significhi per l'uomo "prendersi cura delle cose", manipolarle e trasformarle secondo le sue esigenze. Essere in relazione con gli altri viventi e con l'ambiente che lo circonda significa per l'uomo avere la possibilità di comprendere, ed agire sulle regole fondamentali del divenire naturale. E la tecnica è un "progetto" che "dispone" degli enti trasformandoli in oggetto di calcolo e di manipolazione»
(Pansera 1998).
Scrive così Heidegger a Jean Beaufret, in Lettera sull'umanismo: «L'uomo della tecnica, consegnato all'essere-di-massa (Massen-wesen) non può più essere ricondotto ad una continuità sicura e stabile che riunendo e coordinando la totalità dei suoi piani e dei suoi atti conformemente alle esigenze di questa tecnica»
(Heidegger 1995). Una "continuità sicura e stabile", che d'altra parte per Faye nasce e giace sotto il segno di una rottura e di una mobilitazione radicale, al crocevia di una serie di "catastrofi", nel senso etimologico e matematico del termine (Thom 1999). Nulla è infatti più lungi dal pensiero heideggeriano che l'immagine naïf di un'evoluzione incrementale e vettoriale, secondo un "progressismo" da Ballo Excelsior che vede la tecnologia declinata nella chiave decadente ed appunto nichilista di un piatto utilitarismo, come potenza taumaturgica destinata a risolvere per nostro conto qualsiasi problema.
Heidegger chiaramente si situa, con Gehlen, Spengler, Jünger (cfr. la tematica de L'operaio, 2004, sulla cui visione della tecnica proprio Heidegger gestirà un seminario negli anni della seconda guerra mondiale), Marinetti ed altri, alle origini di una visione ove la prospettiva contemporanea di una "singolarità" tecnica si associa, in rapporto di causalità complesso, al maturare di altre fratture epocali, di una crisi che rappresenta il possibile avvento di un'era nuova in senso trascendentale, ma che resta anche aperta sull'incubo entropico di una "fine della storia" (Fukuyama 1996) in un Brave New World (Huxley 2007) globalizzato ed eternizzato, in un "sistema per uccidere i popoli" (Faye 2002) in cui la stessa tecnologia è cristallizzata, pervertita e strumentalizzata proprio per impedire ogni trasformazione postumana, ogni sogno faustiano; in cui il rifiuto, di natura squisitamente morale, della responsabilità di chi è come abbiamo visto chiamato ad "ereditare la terra", e nell'ulteriore tappa nel processo di ominazione che questo rappresenta, si risolve in esiti, anziché "più-che-umani", propriamente disumani.
L'epoca che secondo Arnold Gehlen o Giorgio Locchi annuncia (e richiede) l'avvento di un "terzo uomo", del postumano, è infatti anche l'epoca della "morte di Dio", che corrisponde alla fine dell'"antropocentrismo" umanista (Marchesini 2002), inteso come esaurimento di una tendenza storica bimillenaria che se si esprime nella metafisica occidentale trova però la sua sanzione storica nelle religioni bibliche e nei loro avatar secolarizzati contemporanei (Locchi 1982); e d'altra parte corrisponde alla conclusione di un ciclo ancora più ampio, di portata appunto antropologica e non solo ideologica. Come dice Gehlen: «siamo inseriti in questo processo da appena duecento anni e già questa "svolta culturale" ha un significato paragonabile solamente a quello della svolta del neolitico. Ciò vuol dire: nessun settore della cultura, nessuna fibra dell'uomo sarà risparmiata da questa trasformazione, che può essere destinata a durare ancora secoli, per cui è impossibile prevedere cosa sarà bruciato da questa fiamma, cosa si fonderà e cosa si dimostrerà capace di resistere ad essa»
(Gehlen 1994). E ancora: «la rivoluzione industriale che oggi volge al termine segna infatti la fine delle cosiddette "culture superiori", affermatesi dal 3500 a.C. fino oltre il 1800 d.C. e promuove la nascita di un nuovo tipo di cultura, oggi ancora non ben delineato. Seguendo questa linea di pensiero, si potrebbe addirittura arrivare a pensare che l'"era civile" come periodo storico sia vicino a spirare, se intendiamo la parola civiltà nel senso che ci viene illustrato dalla storia delle culture superiori dell'umanità sino ad oggi»
(Gehlen 2003).
Ciò corrisponde d'altronde ad un mutamento di paradigma a livello epistemologico prima ancora che culturale. Scrive Faye nel nostro testo: «[Per Heidegger], più che come un tratto culturale, la scienza deve essere interpretata come lo sguardo stesso, attraverso cui i tempi moderni, e non soltanto "gli scienziati", si appropriano del mondo e lo fanno pervenire al reale. La percezione scientifica del mondo non è "il mondo percepito come esattezza": essa si confonde con la realtà del mondo. Come vide anche Werner Heisenberg, il punto di vista scientifico sul mondo, che condivide, come un destino sul quale non si ritorna, tutta la nostra civiltà, non porta alcuna "certezza" su un’illusoria oggettività del reale; questo punto di vista fa esso stesso parte, semplicemente, del "nostro mondo". In altre parole, la scienza moderna non è caratterizzata, rispetto alla doctrina medioevale o all’épistémè greco, da una sua più maggiore accuratezza, ma dal suo progetto. "L’essenza di ciò che oggi chiamiamo scienza è la ricerca», ha detto ancora Heidegger, che precisa: «L’essenza della ricerca consiste nel fatto che la conoscenza s’installa essa stessa, come indagine, in un dominio dell’ente, la natura o la storia (...) Il processo della ricerca si compie grazie alla proiezione di un piano determinato (...) di un progetto (Entwurf) di conoscenza investigatrice"...Più precisamente, Heidegger distingue tre "livelli" storici d’esperienza "esplorativa ". Il più basso, quello dei cristiani, è l'argumentum ex verbo: "La discussione delle parole e dottrine delle differenti autorità" ha trasformato le filosofie antiche, aperte (Platone e Aristotele non furono dogmatici), in dogmi chiusi ed in dialettiche scolastiche. "Il possesso della verità è stato trasferito nella fede, cioè nel fatto di tenere per vera la parola della Scrittura ed il dogma della Chiesa". La ricerca è riconducibile allora all’esegesi. L’umano è privato di qualsiasi progetto. Il secondo stadio della ricerca è quello dell’antichità pagana, riportato in onore da Ruggero Bacone nel XIV secolo: "La discussione delle dottrine è sostituita dall’osservazione delle cose stesse (argumentum ex re), vale a dire l’empeira aristotelica". Infine, la terza fase della ricerca, quella della scienza moderna, perde qualsiasi "umiltà" dinanzi alle cose. La natura diventa nella sua corporeità il luogo del progetto pianificato, e non più lo scopo d’indagine della conoscenza. La scienza moderna ha per scopo la tecnica, e non più l’essere della natura»
.
La chiave di questo pensiero, d'altronde, riguarda la possibilità di immaginare un nuovo destino, oltre la fine dell'antropocentrismo umanista: «Prima possibilità: l’umanismo morale, qualificato come "ripiego nell’a-storiale", ovvero come uscita dalla storia, utilizza il regno dell’uomo per costruire un’"antropologia estetico-morale" centrata sull’ideale sociale individuale, mentre la "teoria del mondo" della metafisica viene mutata, a partire dai secoli XVII e XVIII, in "teoria dell’uomo", esattamente nello stesso modo in cui l’egalitarismo religioso si era trasformato in egualitarismo sociale nello stesso periodo. Seconda possibilità: sempre nel quadro di questo "processo fondamentale dei tempi moderni di conquista del mondo in quanto immagine concepita", un’altra concezione del mondo si realizza, radicalmente opposta, benché ereditata dalla stessa presa di coscienza "storiale". Contrariamente all’umanismo morale, che conserva dei valori metafisici desacralizzati, essa pone dei valori immanenti sacralizzati, e spezza il nichilismo»
.
E ancora: «Si può dire di quest'epoca che è innegabilmente "ombrosa", nella misura in cui il quantitativismo vi provoca lo spirito di calcolo ed il materialismo, ma anche "annuncia altro, la cui conoscenza ci è attualmente rifiutata". Heidegger schernisce qui coloro che restano, come il suo "discepolo" Marcuse, nel rifiuto reazionario della modernità tecnica: "Il ripiego sulla tradizione, intrisa di umiltà e presunzione, non è capace di nulla di per sé, se non di fuga e di accecamento dinanzi all'istante istoriale". I valori di popolo e di comunità sono ammissibili soltanto se sono collegati al "gigantismo" che ci porta la potenza scientifica e tecnica; essi non appaiono suscettibili di modificare le mentalità se non attraverso la grandezza espressa nella modernità. La "tradizione", il "radicamento", se intesi in opposizione alla modernità, se concepiti indipendentemente dalla volontà di potenza tecnica, costituiranno dei pseudo-valori, portatori di un nichilismo assoluto... Il popolo e la modernità tecnica costituiscono così due sensi di vita fondamentali. La morte degli antichi valori, causata dalla oggettivazione metafisica, poi scientifica, del mondo, è superata. Là dove cessa qualsiasi speranza di ridare un senso all’esistenza, nell'"oblio dell’essere", nella svalutazione quantitativa (intellettuale, quindi materiale) di ogni cosa, in questo stesso luogo emerge ciò che Heidegger chiama un interrogare creatore. I popoli possono allora creare un valore grazie allo stesso processo che ha distrutto la vecchia tipologia di valori: "l’oggettivazione dell’ente". Questa oggettivazione, spinta fino al suo parossismo dalla Commissione tecnica, sfocia - come ad esempio con la fisica nucleare - nella perfezione del mondo, non più come oggetto, ma come nulla. Questo nulla non si confonde in nessun modo con il "niente" del nichilismo: esso muta il senso dell’umano, e conferisce al soggetto agente il monopolio del valore. Diventato "nulla", il mondo ritrova il suo mistero, non "di per sé", ma come luogo inconoscibile di una lotta dell’uomo per superare se stesso, della volontà di potenza contro qualsiasi limitazione»
.
Una critica che è stata mossa al saggio recensito è che la lettura propriamente transumanista di Heidegger proposta da Faye è in realtà altrettanto parziale ed "a tesi" quanto quelle, dominanti, dallo stesso implicitamente ed esplicitamente criticate. D'altra parte, il discorso dell'intellettuale francese è innegabilmente stringente, e si appoggia su citazioni puntuali, foss'anche selezionate ed astratte dal contesto, che non si lasciano facilmente "addomesticare" in alcun altro senso. Ed in ogni modo nella prospettiva di Faye è certamente secondaria la questione di cosa abbia "veramente" inteso dire Heidegger rispetto all'uso che della sua riflessione, che la storia e la carta stampata ci consegnano, possa essere fatto in vista di un pensiero radicalmente postumanista.
In questo senso, il grandissimo interesse di questo breve testo, che non esitiamo a definire fondamentale e fondante nel quadro della riflessione del transumanismo europeo, prescinde del tutto dal suo eventuale valore filologico ed ermeneutico, e dalla misura in cui delle sue conclusioni si possa in realtà essere debitori all'autore anziché al pensatore che lo stesso ci propone di rileggere in una luce comunque diversa e certamente più penetrante.
Bibliografia
- Campa, Riccardo 2007. Etica della scienza pura, Sestante, Bergamo.
- Champetier, Charles 2000."Avec les robots, par delà le Bien et le Mal", in Eléments, agosto 2000 ( versione full-text online ).
- Christen, Yves 2001. Les années Faust, ou La science face au vieillissement, Sand, Parigi.
- Faye, Guillaume 1997. Il sistema per uccidere i popoli, Edizioni Barbarossa, Milano ( versione full-text online ).
- Faye, Guillaume 1999. Archeofuturismo, Edizioni Barbarossa, Milano ( versione full-text online ).
- Fukuyama, Francis 1996. La fine della storia e l'ultimo uomo, Rizzoli, Milano.
- Gehlen, Arnold 1994. Le origini dell'uomo e la tarda cultura, Il Saggiatore, Milano.
- Gehlen, Arnold 2003. L'uomo nell'era della tecnica. Problemi socio-psicologici della società industriale, Armando, Torino.
- Heidegger, Martin 1991. "Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?", in Saggi e discorsi, Mursia 1991.
- Heidegger, Martin 1991-II, "La questione della tecnica", in Saggi e discorsi, Mursia 1991.
- Heidegger, Martin 1995. Lettera sull'umanismo, Adelphi, Milano.
- Huxley, Aldous, 2007. Il mondo nuovo, Mondadori, Milano.
- Jünger, Ernst 2004. L'operaio, Guanda, Milano.
- Kempf, Hervé 1998. La revolution biolithique. Humains artificiels et machines animées, Albin Michel, Parigi.
- Locchi, Giorgio 1982. Wagner, Nietzsche e il mito sovrumanista, Akropolis, Roma ( versione full-text online ).
- Marchesini, Roberto 2002. Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati-Boringhieri, Bologna.
- Pansera, Maria Teresa 1998. L'uomo e i sentieri della tecnica: Heidegger, Gehlen, Marcuse, Armando Editore, Roma.
- Pireddu, Mario - Tursi, Antonio 2006. Post-umano. Relazioni tra uomo e tecnologia nella società delle reti, Guerini e associati, Milano.
- Schiavone, Aldo 2007. Storia e destino, Einaudi, Torino.
- Sloterdijk, Peter 2004. "Regole per il parco umano" in Non siamo ancora stati salvati, Bompiani, Milano.
- Thom, René, 1998. Paraboles et catastrophes, Flammarion, Parigi.
- Vaj, Stefano 2005. Biopolitica. Il nuovo paradigma, SEB, Milano ( versione full-text online )